fav poesia 2.0

Perché M'illumino d'immenso non può essere un tweet poetico.

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cotroneo3Creare o scrivere – sostiene Roberto Cotroneo nella sua rubrica Blowin’ In The Web su Sette del Corriere – è prima di ogni cosa darsi del tempo. E non ha niente a che vedere con la temporaneità o la condivisione. Al Festival della Letteratura Breve di Tuscania gli hanno chiesto provocatoriamente se “M’illumino d’immenso” di Giuseppe Ungaretti non sia il prototipo di un tweet poetico. Se noi consideriamo il tweet come qualcosa che abbia una lunghezza di caratteri stabilita e un’efficacia tutta sua, perché non considerare M’illumino d’immenso un possibile tweet? Che differenza c’è tra un verso poetico e un tweet? “Aprile è il più crudele dei mesi” è solo l’inizio di un poema di T.S. Eliot ma è lungo il giusto e emoziona lo stesso, la poesia non può trovare nel mare del web la possibilità di arrivare più facilmente? Non sono domande nuove – continua Cotroneo – la rete è capace di contenere parole, frasi, citazioni, testi, musica, immagini, video; la rete è un mondo smisurato e provoca una reazione d’ordine. Fare ordine in questo gigantesco ipertesto che si arricchisce anno dopo anno di miliardi di pagine e contenuti vorrebbe dire avere la possibilità di trasformarlo non tanto qualcosa di più facilmente leggibile, quanto in qualcosa che abbia valore, come un cielo di notte in cui si possono distinguere le stelle e le galassie più grandi, quelle degne di essere ammirate di fronte a tanta polvere cosmica. La poesia di Ungaretti non è un tweet. Scritta nel 1917 mentre il poeta era in guerra sul Carso, non ha niente a che vedere con la temporaneità, con la condivisione, con il mettere in rete un’intuizione, e non ha nulla a che fare con il tempo immediato della comunicazione, o con la rapidità della scrittura quando deve arrivare agli altri. Al contrario, ha a che fare con l’attesa, con il silenzio, con il vuoto. Con il tempo quando scorre in un modo diverso. Una volta si sarebbe detto: il tempo della coscienza o il tempo interiore. Il dibattito sulla poesia breve, se debba o no confluire nei social, trasformando mezzi come Twitter in contenitori ideali del fare poetico, della riflessione intellettuale, è un imbroglio vero e proprio. Ed è il grande problema di questi anni, dove tutto sembra possibile: i poeti e gli scrittori dei social hanno cancellato l’attesa e l’hanno sostituita con l’impazienza, hanno tradotto il fluire dei pensieri in un continuo fare, agire, raccontare, dire, esplicitare. Molti dicono che è questo il modo di essere creativi in un presente che si traveste troppo spesso da futuro. Ma forse stiamo togliendo all’intensità creativa, alla poesia, alla letteratura, e naturalmente all’arte, quello che le spetta. Ovvero il tempo privato. Italo Calvino termina la sua Lezione americana sulla Rapidità con una storia molto bella, una storia cinese. Tra le molte virtù di Chuang-Tzu c’era l’abilità nel disegno. Il re gli chiese il disegno di un granchio. Chuang-Tzu gli disse che aveva bisogno di cinque anni di tempo e di una villa con dodici servitori. Dopo cinque anni il disegno non era cominciato. “Ho bisogno di altri cinque anni” disse Chuang-Tzu. Il re glieli accordò. Allo scadere dei dieci anni, Chuang-Tzu prese il pennello e in un istante, con un solo gesto, disegnò un granchio, il più perfetto granchio che si fosse mai visto. E’ la sintesi vera non solo della rapidità ma anche dell’esattezza, dell’intensità e della verità dell’arte e della cultura. Chuang-Tzu non ha pubblicato bozzetti del suo granchio sui social perché fossero commentati. Non ha messo in rete qualcosa che stava dentro il suo tempo e il suo pensiero. Creare o scrivere è prima di ogni cosa voltare le spalle al mare del web. Nel nostro piccolo cercheremo di fare tesoro delle tue parole, Cotroneo, o almeno ci proveremo.