FAV FAIL.

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Uno stagista di Google schiaccia il tasto sbagliato e compra pubblicità fake per 10 milioni!

Invece di usare la piattaforma in modalità test, ha impartito un vero ordine di acquisto di spazi per proiettarvi un semplice rettangolo bianco-giallo. Il colosso ha già fatto sapere che si farà carico dell’errore. Allo studio soluzioni per evitare gli sbagli umani. Tipo eliminare gli umani 🙂

Nelle sale del trading la chiamano la “sindrome del dito grasso”: una manina improvvida schiaccia un tasto (involontariamente) e parte un ordine indesiderato che può valere svariati milioni di dollari, con l’effetto probabile di generare perdite ingenti alla compagnia in questione. Oggi che a dominare il panorama industriale e della finanza sono i colossi del web, ecco che l’errore si trasferisce sui pixel che compongono spazi pubblicitari degli schermi dei computer. A farne le spese, per una decina di milioni di dollari, è niente meno che Google.

Martedì sera uno stagista di Mountain View stava prendendo dimestichezza con i sistemi pubblicitari del colosso del web. Non deve essersi reso conto del fatto che stava lavorando in modalità reale sulla piattaforma – e non nella versione ‘test’ dei sistemi – e quando ha schiacciato il pulsante del suo terminale ha effettivamente acquistato alcuni spazi pubblicitari di siti web e applicazioni americane e australiane, inserendovi una pubblicità ‘fake’. Un rettangolo bianco-giallo è apparso su molti schermi, per circa tre quarti d’ora.
Google ha confermato l’errore, l’indomani, ma ha assicurato che onorerà quanto dovuto ai siti su cui è apparso il finto annuncio pubblicitario. Non sono state date indicazioni sul danno reale, ma secondo una fonte dell’industria pubblicitaria citata dal Financial Times il tutto è quantificabile nell’ordine dei 10 milioni di dollari.

Allo stagista è andata particolarmente male, perché ha piazzato il suo ordine d’acquisto degli spazi pubblicitari a prezzi dieci volte superiori il normale, hanno svelato al quotidiano della City i soliti bene informati: 25 dollari di CPM (il “cost per thousand impressions”, il costo per mille visualizzazioni), contro una media che sta tra i 2 e i 4 dollari.

Nota il Ft, che quel che preoccupa maggiormente è la dimostrazione di quanto sia difficile prevenire l’errore umano in questo genere di mercato, oltre ai tempi di scoperta dell’errore che – per i cronometri del web e delle aste pubblicitarie – sono ritenuti eccessivamente dilatati. La compagnia, dal canto suo, ha assicurato di esser al lavoro per mettere in atto misure di sicurezza che evitino il ripetersi di simili errori.